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Giostra Di Cavalieri
Morgan Rice


L’Anello Dello Stregone #16
L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos fantasy epico capace di intrattenere. – Kirkus Reviews (parlando di Un’Impresa da Eroi) Ci sono qui le premesse di qualcosa di notevole. – San Francisco Book Review (parlando di Un’Impresa da Eroi) GIOSTRA DI CAVALIERI è il libro #16 nella serie campione d’incassi L’ANELLO DELLO STREGONE, che inizia con UN’IMPRESA DA EROI (libro #1) – scaricabile gratuitamente e con oltre 500 recensioni a 5 stelle su Amazon! In GIOSTRA DI CAVALIERI, Thorgrin e suoi fratelli seguono le trace di Guwayne in mare, seguendolo fino all’Isola della Luce. Ma quando raggiungono l’isola devastata e il morente Ragon, sembra essere ormai troppo tardi. Dario si ritrova ad essere riportato nella capitale dell’Impero, nella più grande arena. Viene allenato da un uomo misterioso che è determinato a fare di lui un guerriero e ad aiutarlo a sopravvivere all’impossibile. Ma l’arena della capitale è qualcosa che Dario non ha mai visto in vita sua e i suoi formidabili avversari potrebbero essere anche troppo forti per lui. Gwendolyn viene trascinata nel cuore delle dinamiche familiari della corte reale della Dorsale mentre il re e la regina le chiedono un favore. Nel corso di un’impresa verso segreti ultraterreni che potrebbero cambiare il futuro della Dorsale e salvare Thorgrin e Guwayne, Gwen è scioccata da ciò che scopre man mano che scava sempre più a fondo. Il legame tra Erec ed Alistair si fa sempre più forte mentre navigano risalendo il fiume e addentrandosi sempre più nell’Impero, determinati a trovare Volusia e a salvare Gwendolyn, mentre Godfrey e la sua ciurma scatenano il caos contro Volusia, determinati a vendicare i propri compagni. La stessa Volusia impara cosa significhi governare l’Impero e trova la propria precaria capitale attaccata su ogni fronte. Con la sua sofisticata struttura e caratterizzazione, GIOSTRA DI CAVALIERI è un racconto epico di amicizia e amore, di rivali e seguaci, di cavalieri e draghi, di intrighi e macchinazioni politiche, di maturazione, di cuori spezzati, di inganno, ambizione e tradimento. È un racconto di onore e coraggio, di fato e destino, di stregoneria. È un fantasy capace di portarci in un mondo che non dimenticheremo mai, in grado di affascinare persone di ogni sesso ed età. Un fantasy strepitoso … Solo l’inizio di quello che promette di essere una serie per ragazzi veramente epica.   – Midwest Book Review (parlando di Un’Impresa da Eroi) Una lettura veloce e facile…dovrai per forza leggere quello che segue e non sarai più capace di smettere. – FantasyOnline. net (parlando di Un’Impresa da Eroi) Pieno zeppo d’azione … Lo stile della Rice è solido e le premesse sono intriganti. – Publishers Weekly (parlando di Un’Impresa da Eroi)







G i o s t r a d i c a v a l i e r i



(libro #16 in l’anello dello stregone)



Morgan Rice



Edizione italiana

A cura di



Annalisa lovat


Chi ГЁ Morgan Rice



Morgan Rice e l’autrice campione d’incassi negli Stati Uniti oggi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO, che comprende al momento undici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller apocalittico che comprende al momento due libri e della nuova serie epica fantasy RE E STREGONI. I libri di Morgan solo disponibili in formato audio o cartaceo e sono tradotti in oltre 25 lingue.

TRAMUTATA (Libro #1 in Appunti di un Vampiro), ARENA UNO (Libro #1 della Trilogia della Sopravvivenza) e UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1 in l’Anello dello Stregone) sono tutti disponibili per essere scaricati gratuitamente su Google Play. L’ASCESA DEI DRAGHI (Re e Stregoni—Libro 1) è ora disponibile per essere pre-ordinato!

Morgan ama riceverei vostri messaggi e commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com) e di iscrivervi alla mailing list, ricevere libri gratuiti, gadget omaggio, app gratuite e conoscere le ultimissime novitГ . Collegatevi a Twitter e Facebook e rimanete in contatto!


Cosa dicono di Morgan Rice



“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“L’intrigante serie epica fantasy della Rice [L’ANELLO DELLO STREGONE] contiene tratti classici del genere: un’ambientazione forte – profondamente ispirata dall’antica Scozia e alla sua storia – e un buon senso dell’intrigo di corte.”

—KirkusReviews



“Mi è piaciuto un sacco il modo in cui Morgan Rice ha costruito il personaggio di Thor e il mondo in cui vive. Il paesaggio e le creature che lo popolano sono ben descritti… Mi sono goduto la trama, breve e dolce… Ci sono la giusta quantità di personaggi secondari, così non c’è il pericolo di confondersi. Pullula di avventure e momenti tormentosi, ma l’azione presentata non appare mai grottesca. È un libro adatto a lettori adolescenti… L’inizio di qualcosa di notevole…”

--San Francisco Book Review



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrative della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--PublishersWeekly



“[UN’IMPRESA DA EROI] è una lettura semplice e veloce. Le conclusioni di ogni capitolo sono ingegnate in modo da dover leggere ciò che accade successivamente, senza poter smettere. Nel testo ci sono alcuni refusi e a volte i nomi vengono confusi, ma questo non distrae dalla storia nel suo complesso. La conclusione del libro mi ha subito fatto venire voglia di prendere il seguente, e così ho fatto. Tutti i libri della serie L’Anello dello Stregone possono essere acquistati in format Kindle e Un’Impresa da Eroi – per iniziare – è disponibile gratuitamente! Se state cercando qualcosa di veloce e leggero da leggere mentre siete in vacanza, questo è il libro perfetto per voi.”

--FantasyOnline.net


Libri di Morgan Rice



RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)



L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)



LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: SLAVERSUNNERS (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

BETROTHED (Libro #6)

VOWED (Libro #7)

FOUND (Libro #8)

RESURRECTED (Libro #9)

CRAVED (Libro #10)

FATED (Libro #11)













Ascolta la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in format audio libro!


Copyright В© 2014 by Morgan Rice

All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.

This ebookis licensed for your personal enjoyment only. This ebookmay not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author.

This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image Copyright RazumovskayaMarina Nikolaevna, used under license from Shutterstock.com.


INDICE

CAPITOLO UNO (#u6d12dbcc-b009-5f4c-a424-498423fcb679)

CAPITOLO DUE (#u19d748ef-f2c4-5e79-ba7f-342930a19576)

CAPITOLO TRE (#u90f5e3eb-2ced-532e-adbf-167549cbd223)

CAPITOLO QUATTRO (#u791967aa-223e-5e21-87be-29c3e4c561d2)

CAPITOLO CINQUE (#udc255336-2d46-52e9-bb1f-fa271f1f5440)

CAPITOLO SEI (#u9e579c59-e8f6-5475-a904-8e6b1af64fbe)

CAPITOLO SETTE (#u12c2f2e9-e7b7-5ce6-b438-b1d3618a7175)

CAPITOLO OTTO (#u884b1acd-0062-59e9-bc25-f19c0e211457)

CAPITOLO NOVE (#u361f34a1-bd8d-5670-acdd-a76650c14b83)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTADUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTATRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTAQUATTRO (#litres_trial_promo)




CAPITOLO UNO


Thorgrin si trovava a prua della velocissima nave, aggrappato al parapetto, con i capelli spinti indietro dal vento, e guardava l’orizzonte con una crescente brutta sensazione. La nave rubata ai pirati stava navigando rapidamente spinta dal vento con Elden, O’Connor, Mati, Reece, Indra e Selese che lavoravano alle vele. Angel era al suo fianco e Thor, per quanto fosse soddisfatto, sapeva che non potevano procedere più velocemente di così. Però avrebbe voluto poterlo fare. Dopo tutto quel tempo finalmente si sentiva certo che Guwayne si trovasse là davanti, proprio oltre l’orizzonte, sull’Isola della Luce. E con uguale sicurezza sentiva che era in pericolo.

Thor non capiva come potesse essere così. Dopotutto l’ultima volta che li aveva lasciati Guwayne si trovava in salvo sull’Isola della Luce, sotto la protezione di Ragon, uno stregone potente quanto suo fratello. Argon era lo stregone più potente che Thorgrin avesse mai conosciuto, aveva persino protetto l’intero Anello, e Thor non capiva quale danno potesse accorrere a Guwayne mentre si trovava sotto la protezione di Ragon.

A meno che non ci fosse qualche potere lГ  fuori di cui Thor non aveva mai sentito parlare, il potere di uno stregone oscuro alla pari di quello di Ragon. Poteva esistere qualche regno, qualche forza oscura, qualche stregone malvagio di cui lui non sapesse nulla?

Ma perchГ© avrebbe dovuto accanirsi su suo figlio?

Thor ripensò al giorno in cui era fuggito dall’Isola della Luce così di fretta, sotto l’incantesimo del suo sogno, indotto così a lasciare quel posto allo spuntare dell’alba. Ripensandoci si rendeva conto di essere stato ingannato da qualche forza oscura che cercava di allontanarlo dal suo figlio. Era solo grazie a Licople, che ancora volava sopra la loro nave ruggendo, scomparendo all’orizzonte e poi tornando indietro, che aveva deciso di fare ritorno all’Isola, finalmente diretto dalla giusta parte. Thor si rendeva conto che i segni si erano trovati per tutto il tempo davanti ai suoi occhi. Come aveva fatto a ignorarli? Quale forza oscura lo stava fuorviando?

Thor ripensò al prezzo che aveva dovuto pagare: i demoni dall’inferno, la maledizione del signore oscuro scagliata sulla testa di ciascuno di loro. Sapeva che molte altre maledizioni, molte altre prove si trovavano davanti a lui e aveva la certezza che questa fosse una di quelle. Quali altre prove avrebbe dovuto affrontare? Avrebbe mai riavuto indietro suo figlio?

“Non preoccuparti,” gli disse una voce dolce.

Thor si voltГІ e abbassando lo sguardo vide Angel che gli tirava la camicia.

“Andrà tutto bene,” aggiunse con un sorriso.

Thor le sorrise e le pose una mano sulla testa, rassicurato come sempre dalla sua presenza. Era arrivato ad amare Angel come se fosse una sua figlia, la figlia che non aveva mai avuto. Era rassicurato dalla sua presenza.

“E se non sarà così,” aggiunse sorridendo, “mi prenderò io cura di loro!”

Sollevò fieramente il piccolo arco che O’Connor aveva intagliato per lei e fece vedere a Thor come era capace di sistemare la freccia. Thor sorrise divertito mentre lei avvicinava l’arco al petto e vi metteva goffamente una piccola freccia di legno iniziando poi a tirare l’elastico. Lasciò andare e la piccola freccia volò fuoribordo verso l’oceano.

“Ho ucciso un pesce?!” chiese eccitata correndo lungo il parapetto e guardando il mare con gioia.

Thor rimase al suo posto scrutando le acque spumose del mare, incerto. Ma continuГІ a sorridere.

“Ne sono certo,” le disse con tono rassicurante. “Forse addirittura uno squalo.”

Thor udì un ruggito in lontananza e fu subito di nuovo all’erta. Tutto il corpo gli si irrigidì mentre stringeva l’elsa della spada e guardava verso l’acqua scrutando l’orizzonte.

Le fitte nuvole grigie poco alla volta si diradarono e così facendo rivelarono una vista che gli fece fremere il cuore: in lontananza c’erano pennacchi di fumo nero che si levavano verso il cielo. Man mano che le nuvole si aprivano Thor poté vedere che il fumo saliva da un’isola. Ma non si trattava di un’isola qualsiasi: era un’isola dalle ripide scogliere, scogliere che si stagliavano contro il cielo e con un ampio altopiano al di sopra. Un’isola che non avrebbe mai potuto confondere con nessun’altra.

L’Isola della Luce.

Thor provò un dolore al petto vedendo il cielo oscurato da creature malvage: sembravano dei gargoyle che volavano in cerchio attorno a ciò che restava dell’isola, come avvoltoi che riempivano l’aria gracchiando. Ce n’era un esercito e sotto di loro l’isola intera era in fiamme. Non c’era un solo angolo rimasto indenne.

“PIÙ VELOCE!” gridò Thor contro il vento, sapendo che era tutto inutile. Era la sensazione di maggiore inutilità che mai avesse provato in vita sua.

Ma non c’era effettivamente niente di più che potesse fare. Guardò le fiamme, il fumo, i mostri che se ne andavano, udì Licople ringhiare sopra di lui e capì che era troppo tardi. Niente poteva essere sopravvissuto. Tutto ciò che si fosse trovato sull’isola –Ragon, Guwayne, qualsiasi cosa – era ora sicuramente morto.

“NO!” gridò Thor maledicendo il cielo mentre l’oceano gli spruzzava il viso e lo portava, troppo tardi, verso quell’isola di morte.




CAPITOLO DUE


Gwendolyn era sola, di nuovo nell’Anello, nel castello di sua madre, e si guardava attorno rendendosi conto che qualcosa non andava. Il castello era abbandonato, senza arredamento, tutto ciò che c’era un tempo era stato portato via. Le finestre erano sparite, le bellissime vetrate che un tempo le avevano adornate erano perdute e non restavano che delle aperture nella pietra che lasciavano filtrare la luce del tramonto. La polvere vorticava nell’aria e quel posto sembrava non essere mai stato abitato negli ultimi mille anni.

Gwendolyn guardò fuori e vide il paesaggio dell’Anello, un luogo che aveva un tempo conosciuto e amato con tutto il cuore e che ora era desolato, rivoltato, reso grottesco. Sembrava che nulla di vivo vi fosse rimasto.

“Figlia mia,” disse una voce.

Gwendolyn si voltò e fu scioccata di vedere sue madre lì in piedi a guardarla, il volto tirato e sofferente, non la madre che ricordava. Era la madre del suo letto di morte, la madre che sembrava essere invecchiata troppo rapidamente tutt’a un tratto.

Gwen provò un nodo in gola e si rese conto che, nonostante tutto ciò che era successo tra loro, le mancava un sacco. Non sapeva se le mancava esattamente lei o il vedere tutta la sua famiglia, qualsiasi cosa di familiare nell’Anello. Cos’avrebbe dato per tornare di nuovo a casa, per tornare di nuovo in mezzo a qualcosa di familiare.

“Madre,” rispose Gwen stentando a credere alla vista davanti ai suoi occhi.

Si allungò per raggiungerla ma non appena lo fece si trovò improvvisamente da un’altra parte, su un’isola in cima a una scogliera. L’isola era desolata ed era appena stata ridotta in cenere. Il pesante odore di fumo e zolfo impregnava l’aria e le bruciava le narici. Osservò quell’isola e mentre le ondate di cenere si dissipavano al vento, si guardò attorno e vide una culla dorata, annerita dal fumo, l’unico oggetto in quel paesaggio di braci e ceneri.

Il cuore le batteva forte in petto mentre vi si avvicinava, così nervosa di scoprire se suo figlio fosse là dentro e se tutto andasse bene. Ma un’altra parte di lei temeva che non ci fosse o peggio che potesse essere morto.

Gwen corse in avanti e si chinГІ a guardare la culla e il cuore le balzГІ in gola quando vide che era vuota.

“GUWAYNE!” gridò angosciata.

Udì un ruggito provenire dall’aria, un grido che rispondeva al suo, e sollevando lo sguardo vide un esercito di creature nere, simili a gargoyle, che se ne stavano andando. Le si fermò il cuore vedendo che l’ultima teneva tra gli artigli un bambino che piangeva. Lo stavano portando via verso un cielo cupo, era stato rapito da un esercito di oscurità.

“NO!” gridò Gwendolyn.

Gwen si svegliГІ gridando. Si mise a sedere a letto e guardГІ ovunque cercando Guwayne, allungando le mani per salvarlo, per afferrarlo e stringerselo al petto.

Ma non c’era.

Gwen rimase seduta a letto respirando affannosamente e cercando di capire dove si trovasse. La fioca luce dell’alba filtrava dalle finestre e le ci volle un po’ di tempo per capire dove si trovava: il Crinale. Il castello del re.

Sentì qualcosa sulla mano e abbassando lo sguardo vide Krohn che la leccava e poi le appoggiava la testa in grembo. Gli accarezzò la testa mentre si metteva a sedere sul bordo del letto, ancora con il fiatone, prendendo lentamente l’orientamento ma sempre con il peso del sogno appena fatto sulle spalle.

Guwayne, pensò. Il sogno le era sembrato così reale. Era più di un semplice sogno, lo sapeva bene: era stata una visione. Guwayne, ovunque si trovasse, era in pericolo. Una qualche forza oscura lo stava portando via. Lo sentiva.

Gwendolyn si alzò in piedi, agitata. Più che mai provava l’urgenza di trovare suo figlio, di trovare suo marito. Voleva più di ogni altra cosa vederlo e stringerlo. Ma sapeva anche che non poteva essere.

Asciugandosi le lacrime si avvolse addosso il suo scialle di seta e attraversò velocemente la stanza sentendo la pietra fredda sotto i piedi scalzi e fermandosi accanto all’alta finestra ad arco. Scostò la vetrata colorata e la soffusa luce del giorno entrò mentre il primo sole stava sorgendo inondando la campagna di scarlatto. Era una scena mozzafiato. Gwen guardò verso il Crinale, l’immacolata capitale e la sconfinata campagna tutt’attorno, le ondeggiati colline e le abbondanti vigne, la maggiore ricchezza che mai avesse visto in un posto. Oltre si scorgeva il blu luccicante del lago illuminato dal giorno e oltre ancora i picchi del Crinale che disegnavano un cerchio perfetto circondando quel posto ancora velato di nebbia. Sembrava un luogo contro il quale non potesse scatenarsi alcun male.

Gwen pensГІ a Thorgrin, a Guwayne, da qualche parte oltre quelle cime. Dove si trovavano? Li avrebbe mai rivisti?

Andò al catino dell’acqua e si bagnò il viso, poi si vestì rapidamente. Sapeva che non avrebbe trovato Thorgrin e Guwayne standosene seduta in quella stanza e sentiva più che mai che doveva fare qualcosa. Se qualcuno poteva aiutarla, forse questo era il re. Doveva esserci un modo.

Gwen ripensò alla sua conversazione con lui quando avevano passeggiato tra i picchi del Crinale e avevano guardato Kendrick partire; ripensò ai segreti che le aveva rivelato. Che stava morendo. Che il Crinale stava morendo. C’erano altri segreti che le avrebbe rivelato, ma erano stati interrotti. I suoi consiglieri lo avevano richiamato per degli affari urgenti e lui se n’era andato promettendole di rivelarle di più e avvisandola che le avrebbe chiesto un favore. Di cosa si trattava? Cosa poteva volere da lei?

Il re le aveva chiesto di incontrarla nella sala del trono al sorgere del sole e Gwen ora si affrettava a vestirsi sapendo di essere già in ritardo. Il suo sogno l’aveva lasciata intontita.

Mentre correva attraverso la stanza Gwendolyn provò una fitta di dolore: la fame sofferta nella Grande Desolazione ancora le pesava addosso. Guardò il tavolo di prelibatezze preparato per lei – pane, frutta, formaggio, dolci – e velocemente afferrò qualcosa mangiando mentre andava. Ne prese più del necessario e ne diede la metà a Krohn che piagnucolava al suo fianco e fu felice di mangiare qualcosa. Gwen era così riconoscente per quel cibo, per quel riparo, per quelle lussuose stanze che la facevano sentire come se in qualche modo fosse tornata alla Corte del Re, nel castello della sua infanzia.

Le guardie scattarono sull’attenti quando Gwen uscì dalla stanza aprendo la pesante porta di quercia. Passò oltre e percorse i corridoi di pietra del castello appena illuminati dalle torce che ardevano dalla notte.

Gwen raggiunse la fine del corridoio e salì una serie di scale a chiocciola, sempre con Krohn alle calcagna, fino a raggiungere i piani superiori, dove sapeva esserci la sala del trono del re. Già quel castello le era diventato familiare. Attraversò di corsa un altro salone e si stava apprestando a oltrepassare un arco che si apriva nella pietra quando con la coda dell’occhio scorse del movimento. Rabbrividì, sorpresa di vedere una persona nell’ombra.

“Gwendolyn?” disse la voce dell’uomo, piana e troppo affettata mentre lui avanzava dall’ombra con un sorrisino compiaciuto in volto.

Gwendolyn sbatté le palpebre sorpresa e le ci volle un momento per ricordare chi fosse. Le erano state presentate così tante persone negli ultimi giorni che era ora un po’ confusa.

Ma quello era un volto che non poteva dimenticare. Si rese conto che si trattava del figlio del re, uno dei gemelli, quello con i capelli che aveva parlato contro di lei.

“Sei i figlio del re,” disse pensando ad alta voce. “Il terzogenito.”

Lui sorrise, un sorrisetto subdolo che non le piacque. Quindi fece un altro passo avanti.

“Il secondogenito in realtà,” la corresse. “Siamo gemelli, ma io sono nato per primo.”

Gwen lo guardava mentre si avvicinava sempre di piГ№ e notГІ che era vestito in maniera impeccabile, con la barba rasata e i capelli ben pettinati e acconciati. Sapeva di profumo e olio e aveva addosso gli abiti piГ№ belli che avesse mai visto. Mostrava un atteggiamento spavaldo e trasudava arroganza e sicurezza di sГ©.

“Preferisco che non si alluda a me come al gemello,” continuò. “Sono un uomo che sa pensare con la sua testa. Mi chiamo Mardig. È solo un caso che sia nato gemello, un caso che non potevo controllare. Un caso di corone si potrebbe dire,” concluse filosoficamente.

A Gwen non piaceva trovarsi insieme a lui, ancora punta dal trattamento che le aveva riservato la notte precedente. Percepiva anche la tensione di Krohn al suo fianco, il pelo ritto sul collo mentre stava appoggiato contro la sua gamba. Era impaziente di sapere cosa volesse da lei.

“Te ne stai sempre in agguato all’ombra nei corridoi?” gli chiese.

Mardig ridacchiГІ facendosi ancora piГ№ vicino, troppo vicino per lei.

“È il mio castello del resto,” rispose con fare territoriale. “Si sa che ci vado attorno.”

“Il tuo castello?” chiese lei. “Non è di tuo padre?”

La sua espressione si fece piГ№ cupa.

“Tutto a suo tempo,” rispose cripticamente facendo un altro passo avanti.

Gwendolyn si ritrovГІ involontariamente a fare un passo indietro: non le piaceva la sensazione che le dava la sua presenza e Krohn iniziГІ a ringhiare.

Mardig guardГІ Krohn con sprezzo.

“Lo sai che gli animali non sono ammessi nel nostro castello?” rispose.

Gwen si accigliГІ seccata.

“Tuo padre non aveva nulla in contrario.”

“Mio padre non bada alle regole,” rispose. “Io sì. E la guardia del re è sotto il mio comando.”

Gwen si accigliГІ frustrata.

“È per questo che mi hai fermata qui?” gli chiese seccata. “Per far rispettare il controllo sugli animali?”

Il giovane si accigliГІ a sua volta rendendosi forse conto di aver trovato pane per i suoi denti. La guardГІ fissa negli occhi come se la stesse studiando.

“Non c’è donna nel Crinale che non mi desideri,” disse. “Eppure non vedo passione nei tuoi occhi.”

Gwen lo guardГІ inorridita rendendosi finalmente conto di dove stesse andando a parare.

“Passione?” ripeté umiliata. “E perché dovrei dimostrarne? Sono sposata e l’amore della mia vita tornerà presto al mio fianco.”

Mardig rise ad alta voce.

“Davvero?” chiese. “Da quello che sento è morto da tempo. O talmente perduto da non tornare mai più.”

Gwendolyn si accigliГІ sentendo la rabbia che montava in lei.

“Anche se non dovesse mai più tornare” disse, “non starei mai con nessun altro. E sicuramente non con te.”

Lui si fece cupo in volto.

Gwen si voltГІ per andarsene ma lui le afferrГІ un braccio. Krohn ringhiГІ.

“Non chiedo quello che voglio, qui,” disse. “Me lo prendo. Ti trovi in un regno straniero e alla mercé di chi ti ospita. Sarebbe meglio per te obbedire a chi ti accoglie. Dopotutto, senza la nostra ospitalità saresti destinata alla desolazione. E ci sono circostanze molto più sfortunate che possono capitare a un ospite, anche con i padroni di casa meglio intenzionati.”

Lei si accigliГІ, avendo visto fin troppe vere minacce nella sua vita per avere paura dei suoi insignificanti avvertimenti.

“Ci reputi prigionieri?” gli chiese. “Io sono una donna libera nel caso tu non l’abbia notato. Posso andarmene da qui anche in questo istante se lo voglio.”

Il giovane rise, un suono orribile.

“E dove andresti? Te ne torneresti nella Grande Desolazione?”

Le sorrise e scosse la testa.

“Sarai anche tecnicamente libera di andare,” aggiunse, “ma lascia che ti chieda: quando il mondo è un posto ostile, dove ti abbandona?”

Krohn ringhiò minacciosamente e Gwen sentì che era pronto a saltare. Si scosse di dosso la mano di Mardig con indignazione e accarezzò Krohn sulla testa trattenendolo. Poi, mentre guardava Mardig negli occhi, ebbe un’improvvisa intuizione.

“Dimmi una cosa, Mardig,” disse con voce dura e fredda. “Com’è che non ti trovi là fuori a combattere con i tuoi fratelli nel deserto? Come mai sei l’unico rimasto qui? È la paura a trattenerti?”

Lui sorrise, ma dietro al suo sorriso Gwen potГ© scorgere la codardia.

“La cavalleria è per gli sciocchi,” le rispose. “Sciocchi veri e propri che ci preparano la strada in modo che possiamo avere quello che vogliamo. Fai sentire a qualcuno la parola �cavalleria’ e potrai usare quelle persone come dei burattini. Io stesso non posso essere utilizzato così facilmente.”

Lei lo guardГІ disgustata.

“Mio marito e il nostro Argento riderebbero di un uomo come te,” gli disse. “Non dureresti due minuti nell’Anello.”

Gwen spostò lo sguardo da lui all’ingresso che le stava bloccando.

“Hai due opzioni,” gli disse. “Puoi levarti di torno o Krohn qui può avere la colazione che tanto desidera. Penso che tu sia della misura giusta.”

Mardig guardГІ Krohn e Gwen vide che gli tremava il labbro. Si fece da parte.

Ma lei non si limitГІ ad andare. Gli si fece invece vicino, ghignando, volendo chiarirgli per bene il fatto suo.

“Sarai anche al comando del tuo piccolo castello,” gli disse con tono cupo, “ma non dimenticarti che stai parlando con una regina. Una regina libera. Non risponderò mai a te, non risponderò mai a nessuno fintanto che vivrò. E questo mi rende molto pericolosa, molto più pericolosa di te.”

Il principe la guardГІ sorpreso e sorrise.

“Mi piaci, regina Gwendolyn,” le rispose. “Molto più di quanto pensassi.”

Gwendolyn, con il cuore che le batteva forte lo vide voltarsi e andarsene, riscivolando nell’ombra e scomparendo in fondo al corridoio. Mentre i suoi passi si facevano sempre più distanti, si chiese: quali pericoli c’erano in agguato in quella corte?




CAPITOLO TRE


Kendrick galoppava percorrendo l’arido deserto con Brandt e Atme al suo fianco oltre a mezza dozzina di soldati dell’Argento, tutto ciò che era rimasto della compagnia dell’Anello. Erano di nuovo insieme come ai vecchi tempi. Mentre galoppavano addentrandosi sempre più nella Grande Desolazione, Kendrick sentiva il peso della nostalgia e della tristezza: gli tornarono alla mente i giorni migliori nell’Anello, quando era circondato dall’Argento, dai suoi fratelli d’armi e andava in battaglia insieme a migliaia di uomini. Aveva sempre combattuto insieme ai migliori cavalieri che il regno avesse da offrire, un guerriero migliore dell’altro e ovunque fosse andato le trombe avevano suonato e la gente era accorsa ad accoglierli. Lui e i suoi uomini erano sempre stati ben accetti ovunque ed erano sempre stati svegli fino a tardi di notte raccontando storie di battaglie, di scaramucce contro mostri che risalivano dal Canyon o peggio dalle terre selvagge dall’altra parte.

Kendrick sbatté le palpebre, con la polvere negli occhi, cercando di cacciare quei pensieri. Ora si trovava in tempi diversi e in un posto diverso. Guardò oltre e vide gli otto uomini dell’Argento aspettandosi di vederne migliaia. Ma la realtà calò lentamente su di lui e si rese conto che otto era tutto ciò che gli restava adesso: molte cose erano cambiate. Sarebbero mai tornati quei giorni di gloria?

L’idea che Kendrick aveva su come si diveniva guerrieri era cambiata negli anni e in quei giorni si era trovato a pensare che non si trattasse solo di onore e abilità, ma anche di perseveranza. Di capacità di andare avanti. La vita aveva un suo modo di gettarti addosso un sacco di ostacoli, calamità, tragedie, perdite, soprattutto cambiamenti. Lui aveva perso così tanti amici da non poterli neanche contare e il re stesso era vissuto meno di lui. La sua patria era scomparsa. Eppure lui continuava ad andare avanti, anche quando non era certo del motivo. Sapeva che lo stava cercando. Ed era forse soprattutto questa capacità di andare avanti che lo rendeva guerriero, che gli faceva superare la prova del tempo anche quando tanti altri cadevano. Questo separava i veri guerrieri da quelli effimeri.

“MURO DI SABBIA DAVANTI!” gridò una voce.

Era una voce sconosciuta, una voce che Kendrick doveva ancora abituarsi a sentire. Guardando avanti vide Koldo, il primogenito del re, con la sua pelle nera che lo faceva spiccare nel gruppo, lanciato alla guida del gruppo di soldati del Crinale. Il poco tempo che aveva avuto per conoscerlo gli era bastato per arrivare a rispettarlo: gli bastava guardare il modo in cui guidava i suoi uomini e come loro lo guardavano. Era un cavaliere al cui fianco Kendrick era orgoglioso di trovarsi.

Koldo indicò l’orizzonte e Kendrick guardò oltre vedendo ciò che stava segnando: in effetti lo udì prima di vederlo. Era un fischio acuto, come una tempesta di vento, e Kendrick ricordò il tempo trascorso nella Desolazione, quando lo avevano trascinato quasi privo di conoscenza. Ricordò la sabbia furiosa che ruotava come un tornado interminabile formando un solido muro che si ergeva fino al cielo. Era sembrato impenetrabile, come una parete vera e propria che aiutava a celare il Crinale agli occhi dell’Impero.

Mentre il fischio si faceva più forte, Kendrick ebbe paura all’idea di entrarci di nuovo.

“SCIARPE!” ordinò una voce.

Kendrick vide Ludvig, il piГ№ grande dei due gemelli, che tirava fuori un lungo panno bianco e se lo avvolgeva attorno al volto. Uno alla volta gli altri soldati seguirono il suo esempio e fecero lo stesso.

Vicino a Kendrick sopraggiunse il soldato che si era presentato come Naten, un uomo per il quale Kendrick ricordГІ di aver provato immediata ripugnanza. Era scontento che gli fosse stato assegnato il comando e non gli mostrava rispetto.

Naten ridacchiГІ guardando Kendrick e i suoi uomini mentre si avvicinava a loro.

“Pensi di guidare questa missione,” disse, “solo perché il re ti ha dato questo compito. Ma non sai neppure tenere i tuoi uomini al riparo dal muro di sabbia.”

Kendrick lo guardò torvo, vedendo nei suoi occhi un odio non provocato da lui. All’inizio aveva pensato che fosse indotto a comportarsi così solo perché si sentiva forse minacciato da lui, da uno sconosciuto. Ora però vedeva che era proprio un uomo cui piaceva odiare.

“Dagli le sciarpe!” gridò Koldo a Naten, impaziente.

Dopo un po’di tempo, mentre il muro si faceva sempre più vicino e la sabbia sempre più vorticosa, Naten diede finalmente il sacco con le sciarpe a Kendrick, lanciandoglielo e colpendolo con forza al petto mentre continuavano a galoppare.

“Distribuiscile ai tuoi uomini,” gli disse, “o finirete tagliati dal muro. A voi la scelta, a me veramente non interessa.”

Naten si allontanò tornando verso i suoi uomini e Kendrick distribuì rapidamente le sciarpe ai suoi passando accanto a ciascuno di essi e passandogliele una alla volta. Poi si avvolse la propria attorno alla testa e alla faccia come facevano quelli del Crinale, compiendo più giri e assicurandosi anche di riuscire a respirare. Vedeva a malapena, il mondo era velato e confuso alla luce.

Kendrick si preparò mentre si facevano ancora più vicino e il rumore della sabbia vorticante diventava assordante. Già a cinquanta metri di distanza l’aria era piena del suono della sabbia che sbatteva contro le armature. Un momento dopo la sentì.

Si tuffò nel muro di sabbia e fu come immergersi in un oceano turbolento di sabbia. Il rumore era così forte da poter a malapena udire il proprio cuore che gli batteva nelle orecchie mentre la sabbia avvolgeva ogni parte del suo corpo lottando per entrare e per infiltrarsi. Era così intensa e fitta da non riuscire a vedere Brandt e Atme che si trovavano a pochi metri da lui.

“CONTINUATE A GALOPPARE!” gridò Kendrick ai suoi uomini, chiedendosi se qualcuno di loro poteva sentirlo e cercando di rassicurare loro quanto se stesso. I cavalli nitrivano come impazziti, rallentando e comportandosi stranamente. Kendrick abbassò lo sguardo e vide che la sabbia gli entrava negli occhi. Spronò il suo cavallo con maggiore intensità pregando che non si fermasse sul posto.

Continuò a galoppare, pensando che non sarebbe mai finita, quando finalmente, riconoscente, emerse dall’altra parte. Galoppò fuori con i suoi uomini accanto, di nuovo nella Grande Desolazione, con il cielo aperto e il vuoto ad accoglierlo. Il muro di sabbia si calmò gradualmente mentre si allontanavano e la quiete prestò calò di nuovo. Kendrick notò che gli uomini del Crinale guardavano lui e i suoi con sorpresa.

“Non pensavate che saremmo sopravvissuti?” chiese a Naten mentre lo fissava.

Naten scrollГІ le spalle.

“Non me ne sarebbe fregato nulla comunque,” disse e si allontanò con i suoi uomini.

Kendrick si scambiò un’occhiata con Brandt e Atme mentre tutti si interrogavano nuovamente su quegli uomini del Crinale. Kendrick aveva la sensazione che sarebbe stato lungo e faticoso conquistare la loro fiducia. Dopotutto lui e i suoi uomini erano degli sconosciuti ed erano stati loro a creare quella scia di tracce causando loro un sacco di problemi.

“Avanti tutta!” gridò Koldo.

Kendrick sollevò lo sguardo e vide, nel deserto, i segni lasciati da lui e dagli altri dell’Anello. Vide tutte le loro impronte ora indurite nella sabbia, che conducevano fino all’orizzonte.

Koldo si fermГІ dove terminavano rimanendo fermo insieme agli altri, con i cavalli che respiravano affannosamente. Abbassarono tutti lo sguardo studiandole.

“Pensavo che il deserto le avrebbe cancellate,” disse Kendrick sorpreso.

Naten ridacchiГІ guardandolo.

“Questo deserto non cancella nulla. Non piove mai e tutto viene ricordato. Queste vostre impronte li avrebbero condotti dritto fino a noi, portando al crollo del Crinale.”

“Piantala di importunarlo,” disse Koldo a Naten con voce cupa e carica di autorità.

Tutti si voltarono vedendolo avvicinarsi e Kendrick provò un’ondata di gratitudine nei suoi confronti.

“Perché dovrei?” chiese Naten. “Questa gente ha creato il problema. Io potrei essere al sicuro all’interno del Crinale in questo momento.”

“Continua,” disse Koldo, “e ti mando a casa all’istante. Verrai cacciato fuori da questa missione e dovrai spiegare al re perché hai trattato il tuo comandante mancandogli di rispetto.”

Naten, finalmente umiliato, abbassò lo sguardo e si allontanò portandosi dall’altra parte del gruppo.

Koldo guardГІ Kendrick facendogli cenno con la testa in segno di rispetto, da comandante a comandante.

“Mi scuso per l’insubordinazione dei miei uomini,” disse. “Come di certo anche tu sai, un comandante non sempre è in grado di parlare per tutti i suoi soldati.”

Kendrick annuì rispettoso, ammirando Koldo più che mai.

“Sono queste dunque le tracce lasciate dal tuo popolo?” chiese Koldo abbassando lo sguardo.

Kendrick annuì.

“Pare di sì.”

Koldo sospirГІ voltandosi e seguendole.

“Dobbiamo seguirle fino alla fine,” disse. “Quando raggiungeremo l’altra estremità procederemo all’indietro cancellandole.”

Kendrick era sorpreso.

“Ma non ne lasceremo delle altre tornando indietro?”

Koldo fece un cenno e Kendrick seguì il suo sguardo rivolto verso il retro dei cavalli dei suoi uomini che tiravano alcuni attrezzi che sembravano dei rastrelli.

“Spazzatrici,” spiegò Ludvig avvicinandosi a Koldo. “Cancelleranno le nostre tracce mentre proseguiamo.”

Koldo sorrise.

“È questo che ha tenuto il Crinale invisibile ai nostri nemici per secoli.”

Kendrick ammirò gli ingegnosi strumenti e si udì un grido mentre gli uomini spronavano i cavalli e si voltavano seguendo le tracce, galoppando nel deserto inoltrandosi nella Desolazione verso un orizzonte vuoto. Nonostante tutto Kendrick si guardò alle spalle mentre procedevano, dando un’ultima occhiata al muro di sabbia. Per qualche motivo fu sopraffatto dal pensiero che non avrebbero mai più fatto ritorno.




CAPITOLO QUATTRO


Erec si trovava a prua sulla sua nave con Alistair e Strom al suo fianco, e guardava con preoccupazione il fiume che si restringeva. Dietro di loro a breve distanza si trovava la sua piccola flotta, tutto ciò che restava di quello che era partito dalle Isole del Sud. Si stavano tutti dirigendo lungo quell’interminabile fiume, sempre più a fondo verso il cuore dell’Impero. In alcuni punti quel corso d’acqua era stato largo quanto un oceano, le rive non visibili e le acque limpide; ma ora Erec vedeva come all’orizzonte si stesse restringendo creando una sorta di imbuto di forse una ventina di metri di larghezza, dove l’acqua si faceva più torbida.

Il soldato professionista dentro Erec era completamente all’erta. Non gli piacevano gli spazi confinati quando conduceva un gruppo di uomini, e sapeva che il fiume che si faceva più stretto avrebbe reso la sua flotta più suscettibile a un’imboscata. Erec si guardò alle spalle e non vide alcun segno della massiccia flotta dell’Impero da cui erano sfuggiti in mare. Questo però non significava che non potessero trovarsi là fuori da qualche parte. Sapeva che non avrebbero mai smesso di seguirli fino a che non li avessero trovati.

Con le mani sui fianchi Erec si voltò e socchiuse gli occhi studiando le misere terre dell’Impero dall’altra parte che si allungavano all’infinito: un terreno fatto di sabbia asciutta e dura roccia, niente alberi e nessun segno di civiltà. Erec scrutò le rive del fiume e si sentì riconoscente che almeno non ci fossero forti o battaglioni dell’Impero posizionati lungo il fiume. Voleva portare la sua flotta lungo il corso d’acqua fino a Volusia il più in fretta possibile, trovare Gwendolyn e gli altri e liberarli per poi andarsene da lì. Li avrebbe riportati attraverso il mare fino alla salvezza delle Isole del Sud, dove avrebbe potuto proteggerli. Non voleva nessun disturbo lungo il suo tragitto.

Ma dall’altra parte il silenzio inquietante e il paesaggio desolato lo facevano pure preoccupare: l’Impero si stava forse nascondendo e aspettava di tendere loro un’imboscata?

Ere sapeva che c’era un pericolo ancora più grosso là fuori, più grande di un possibile attacco da parte del nemico: la possibilità di morire di fame. Era una preoccupazione ancora più incombente. Stavano attraversando quello che era sostanzialmente un deserto e tutte le loro proviste erano ormai quasi finite. Mentre Erec stava lì sentiva il brontolio alla pancia dato che aveva limitato se stesso e gli altri a un pasto al giorno ormai da molto tempo. Sapeva che se non fosse apparsa qualche abbondanza presto all’orizzonte avrebbero avuto grossi problemi per le mani. Sarebbe mai finito quel fiume? E se non avessero mai trovato Volusia?

E ancora peggio: se Gwendolyn e gli altri non fossero più lì? O fossero già morti?

“Un altro!” gridò Strom.

Erec si voltò e vide uno dei suoi uomini che tirava una lenza con un pesce giallo appeso all’estremità che veniva trascinato sul ponte. Il marinaio lo pestò ed Erec vi si avvicinò insieme agli altri osservandolo. Scosse la testa contrariato: due teste. Era un altro di quei pesci velenosi che sembravano popolare in abbondanza quel fiume.

“Questo fiume è maledetto,” disse un uomo scagliando a terra la canna da pesca.

Erec si avvicinò al corrimano e scrutò le acque con delusione. Percepì una presenza e voltandosi vide Strom che gli si avvicinava.

“E se questo fiume non conducesse a Volusia?” chiese.

Erec scorse la preoccupazione sul volto del fratello, e la condivideva.

“Da qualche parte ci porterà,” rispose. “Va verso nord. Se non a Volusia, allora attraverseremo la terra a piedi e tracceremo la nostra strada.”

“Dovremmo abbandonare le nostre navi allora? Come potremo mai fuggire poi da questo posto? Tornare alle Isole del Sud?”

Erec scosse lentamente la testa e sospirГІ.

“Potremmo non farcela,” rispose onestamente. “Nessuna impresa d’onore è semplice. Eppure ci siamo mai fermati io o te?”

Strom si voltГІ verso di lui e gli sorrise.

“È per questo che viviamo,” rispose.

Erec sorrise a sua volta e si girò a guardare Alistair che si avvicinava dall’altra parte, aggrappandosi al corrimano e fissando il fiume che si stava restringendo sempre più man mano che avanzavano. Aveva gli occhi velati e lo sguardo distante. Erec percepì che era perduta in un altro mondo. Aveva notato che anche qualcos’altro era cambiato in lei, ma non era sicuro di cosa fosse. Era come se gli stesse tenendo nascosto qualche segreto. Moriva dalla voglia di chiederle qualcosa, ma non voleva essere invadente.

SuonГІ un coro di corni ed Erec, sorpreso, si voltГІ guardandosi alle spalle. Gli balzГІ il cuore in gola quando vide cosa incombeva su di loro.

“IN RAPIDO AVVICINAMENTO!” gridò un marinaio dall’alto dell’albero maestro indicando freneticamente. “FLOTTA DELL’IMPERO!”

Erec attraversГІ il ponte di corsa tornando verso poppa insieme a Strom, passando oltre tutti i suoi uomini, tutti in assetto da guerra, con le spade in mano e gli archi pronti mentre si preparavano mentalmente allo scontro.

Erec arrivò a poppa e si aggrappò al corrimano guardando fuori e vedendo che era vero: lì, dietro un’ansa del fiume a poche centinaia di metri da loro, si trovava una fila di navi dell’Impero con le loro vele nere e oro.

“Devono aver seguito le nostre tracce,” disse Strom accanto a lui.

Erec scosse la testa.

“Ci hanno seguiti per tutto il tempo,” disse rendendosene conto. “Stavano solo aspettando di farsi vedere.”

“E cosa aspettavano?” chiese Strom.

Erec si voltГІ guardandosi alle spalle, verso il fiume davanti a loro.

“Quello,” disse.

Strom si voltГІ e guardГІ con attenzione il fiume che si restringeva.

“Hanno aspettato che arrivassimo al punto più stretto,” disse Erec. “Hanno aspettato che fossimo costretti a navigare in fila indiana e che ci trovassimo troppo avanti per girarci e tornare indietro. Ora ci hanno esattamente dove ci volevano.”

Erec guardò di nuovo la flotta e mentre stava lì fermo provò un incredibile sensazione di concentrazione, come spesso gli accadeva quando conduceva i suoi uomini e si trovava in un momento di crisi. Sentì un altro senso che si faceva spazio in lui, e come spesso accadeva in momenti come quello gli venne un’idea.

Si voltГІ verso suo fratello.

“Guida quella nave accanto a noi,” ordinò. “Prendi il retro della flotta. Fai uscire ogni uomo, falli imbarcare nella nave accanto. Mi hai sentito? Svuota quella nave. Quando sarà vuota, sarai l’ultimo ad uscirne.”

Strom lo guardava confuso.

“Quando la nave sarà vuota?” ripeté. “Non capisco.”

“Ho in mente di sfasciarla.”

“Sfasciarla?” chiese Strom perplesso.

Erec annuì.

“Nel punto più stretto, dove le rive del fiume si incontrano, farai girare la nave di lato e la abbandonerai. Questo creerà un cuneo, la sorta di diga di cui abbiamo bisogno. Nessuno sarà capace di seguirci. Ora vai!” gridò Erec.

Strom scattò in azione, seguendo gli ordini di suo fratello, che fosse d’accordo con lui o meno. Erec continuò a far navigare la sua nave insieme alle altre e Strom balzò da un corrimano all’altro. Quando atterrò sull’altra nave iniziò a gridare ordini e gli uomini scattarono in azione, tutti saltando, uno alla volta, fuori dalla nave verso quella di Erec.

Erec era preoccupato mentre osservava le loro navi che iniziavano ad allontanarsi.

“Alle funi!” gridò ai suoi uomini. “Usate gli arpioni e tenete insieme le navi!”

I suoi uomini seguirono il suo comando e corsero verso il bordo della nave sollevando gli arpioni e lanciandoli in aria facendoli incastrare nella nave accanto tirandola poi con tutte le loro forze in modo che smettesse di allontanarsi. Questo accelerò il processo e decine di uomini balzarono da un corrimano all’altro afferrando tutti le proprie armi in fretta e furia mentre abbandonavano la nave.

Strom osservava gridando ordini e assicurandosi che ogni uomo lasciasse l’imbarcazione radunandoli tutti fino a che a bordo non fu rimasto nessuno.

Strom vide l’espressione di Erec che osservava con approvazione.

“E che ne facciamo delle provviste sulla nave?” gridò Strom portando la voce al di sopra del frastuono. “E le armi di riserva?”

Erec scosse la testa.

“Lascia perdere,” gridò di risposta. “Mettiti dietro e distruggi la nave.”

Erec si voltГІ e corse a prua, conducendo la sua flotta che lo seguiva e si immetteva nella strozzatura del fiume.

“FILA INDIANA!”

Tutte le navi si misero dietro di lui mentre il fiume giungeva al punto più stretto. Erec vi passò attraverso con la sua flotta e si guardò alle spalle vedendo le navi dell’Impero che si avvicinavano rapidamente, ora ad appena cento metri da loro. Guardò centinaia di soldati dell’Impero preparare gli archi e frecce dando loro fuoco. Sapevano di essere quasi a portata di tiro: c’era poco tempo da perdere.

“ORA!” gridò a Strom proprio mentre lui, l’ultimo della flotta, entrava nella strettoia.

Strom, guardando e aspettando, sollevò la spada e tagliò a metà le funi che tenevano la sua nave ancorata a quella di Erec. Nello stesso istante saltò sull’altra imbarcazione, al fianco del fratello. Tagliò le corde proprio mentre la nave abbandonata entrava nella strozzatura del fiume e si arenava senza più alcuna guida.

“FATELA GIRARE DI FIANCO!” ordinò Erec ai suoi uomini.

Tutti afferrarono le funi che restavano da una parte della nave e tirarono con tutte le loro forze fino a che la nave, scricchiolando, si girò lentamente di lato contro corrente. Alla fine, trasportata dall’acqua, si incastrò con decisione tra le rocce, fissata tra le due sponde del fiume mentre il legno scricchiolava e iniziava a spezzarsi.

“TIRATE PIÙ FORTE!” gridò Erec.

Gli uomini continuarono a tirare ed Erec accorse ad aiutarli. Tutti sbuffavano mentre tiravano con tutta la loro forza. Lentamente riuscirono a far girare la barca tenendola stretta mentre si incastonava sempre piГ№ a fondo tra gli scogli.

Quando la nave smise di muoversi, ben incastrata, Erec fu finalmente soddisfatto.

“TAGLIATE LE FUNI!” gridò sapendo che doveva essere ora o mai più e sentendo che la sua stessa nave iniziava ad arrancare.

Gli uomini di Erec tagliarono le funi restanti sbrogliando la nave al momento giusto.

L’imbarcazione abbandonata iniziò a collassare rompendosi e il relitto bloccò completamente il fiume. Un attimo dopo il cielo si fece nero mentre una raffica di frecce infuocate dell’Impero scendeva verso la flotta di Erec.

Erec aveva guidato i suoi uomini fuori tiro giusto in tempo: le frecce atterrarono tutte sulla nave abbandonata cadendo qualche metro prima della flotta di Erec. Non fecero che incendiare il relitto creando un ulteriore ostacolo tra loro e l’Impero: ora il fiume era diventato impossibile da attraversare.

“Avanti a piene vele!” gridò Erec.

La sua flotta continuò a navigare a tutta velocità, prendendo il vento e allontanandosi dalla loro barricata. Proseguivano verso nord, ora salvi e fuori dalla portata delle frecce dell’Impero. Sopraggiunse un’altra raffica di frecce che questa volta atterrarono in acqua sibilando tutt’attorno alla nave mentre si immergevano.

Mentre continuavano a navigare Erec stava a prua e guardava con soddisfazione la flotta dell’Impero che si fermava davanti alla nave in fiamme. Una delle navi nemiche tentò temerariamente di andarvi a sbattere contro, ma i suoi sforzi non valsero che a ritrovarsi incendiata a sua volta. Centinaia di soldati dell’Impero gridarono, avvolti dalle fiamme, e saltarono fuori bordo mentre la loro nave infuocata creava una barriera ancora più insormontabile. Guardando la situazione Erec si figurò che l’Impero non sarebbe stato capace di passare oltre per diversi giorni.

Sentì una mano forte che gli stringeva la spalla e voltandosi vide Strom al suo fianco, sorridente.

“Una della tue strategie più ispirate,” disse.

Erec gli sorrise.

“Ben fatto,” rispose.

Erec si voltГІ e guardГІ il fiume davanti a sГ©, le acque che serpeggiavano in ogni direzione. Questo non gli diede conforto: avevano vinto quella battaglia, ma chissГ  quali altri ostacoli si trovavano innanzi?




CAPITOLO CINQUE


Volusia, con indosso i suoi paramenti dorati, si trovava in cima alla pedana e guardava i cento gradini d’oro che aveva fatto erigere come inno a se stessa. Allungò le braccia in fuori e si godette quel momento. A perdita d’occhio poteva vedere le strade della città gremite di gente, cittadini dell’Impero, i suoi soldati, tutti i suoi nuovi fedeli inchinati davanti a lei, con le teste che toccavano terra alla luce del primo sole. Cantavano tutti insieme, un suono leggero e continuo, partecipando al servizio mattutino che lei aveva creato come i suoi ministri e comandanti avevano loro insegnato: adorarla o affrontare la morte. Sapeva che ora la veneravano perché dovevano, ma molto presto lo avrebbero fatto perché ci avrebbero creduto.

“Volusia, Volusia, Volusia,” cantavano. “Dea del sole e dea delle stelle. Madre degli oceani e messaggera del sole.”

Volusia ammirava la sua nuova città. Erette ovunque si trovavano le statue d’oro che la rappresentavano come lei aveva ordinato di fare. In ogni angolo della capitale c’era una sua statua di oro splendente; ovunque si guardasse non si poteva che vederla e venerarla.

Finalmente era soddisfatta. Finalmente era la dea che sapeva sarebbe diventata.

Il canto riempiva l’aria come anche l’incenso che veniva bruciato su ogni altare. Uomini, donne e bambini riempivano le strade, spalla a spalla, inchinandosi, e lei sentiva di meritarselo. Era stato una marcia lunga e dura arrivare fino a lì, ma aveva fatto tutta la strada fino alla capitale, era riuscita a conquistarla, a distruggere gli eserciti dell’Impero che le si erano opposti. Ora finalmente la capitale era sua.

L’Impero era suo.

Ovviamente i suoi consiglieri la pensavano diversamente, ma a Volusia non interessava poi tanto cosa pensassero. Sapeva di essere invincibile, in qualche posto tra cielo e terra, e nessun potere di questo mondo poteva distruggerla. Non solo non si ritirava per la paura, ma piuttosto sapeva che questo era solo l’inizio. Voleva ancora più potere. Aveva in programma di visitare ogni Corno e Punta dell’Impero e distruggere tutti coloro che si fossero opposti a lei e che non avessero accettato il suo potere unilaterale. Avrebbe messo insieme un esercito sempre più grande fino a che ogni angolo dell’Impero fosse stato sottomesso a lei.

Pronta ad iniziare la giornata, Volusia scese lentamente dalla pedana, facendo un gradino dorato alla volta. AllungГІ le mani e mentre tutti le correvano incontro li toccГІ con i palmi. Erano una moltitudine di fedeli che la abbracciavano e lei era una dea tra loro. Alcuni, piangendo, si buttarono a terra mentre lei avanzava formando un ponte umano, felici che lei gli camminasse sopra.

Alla fine aveva ottenuto il suo gregge. Ora era il momento di andare in guerra.



*



Volusia si trovava in cima ai bastioni che circondavano la capitale dell’Impero e scrutava il cielo sul deserto con un crescente senso di fatalità. Non si vedevano altro che cadaveri decapitati, tutti gli uomini che aveva ucciso, e un nugolo di avvoltoi che volavano e scendevano a piluccare le loro carni. Fuori dalle mura c’era una leggera brezza e lei poteva sentire già il puzzo di carne rancida portato dal vento. Sorrise di fronte a quella carneficina. Quegli uomini avevano osato opporsi a lei e ne avevano pagato il prezzo.

“Non dovremmo bruciare i morti, mia dea?” chiese una voce.

Volusia si voltГІ e vide il comandante delle sue forze armate, Rory, un umano alto e robusto, con bei lineamenti e un aspetto decisamente gradevole. Lo aveva scelto, lo aveva elevato al di sopra degli altri generali, perchГ© era un piacere per gli occhi, ma anche perchГ© era un comandante brillante e gli piaceva vincere a ogni costo, proprio come lei.

“No,” rispose senza guardarlo. “Voglio che marciscano sotto al sole e che gli animali si rimpinzino delle loro carni. Voglio che tutti sappiano ciò che succede a quelli che si oppongono alla dea Volusia.”

Lui guardГІ davanti a sГ© indietreggiando.

“Come desideri, mia dea,” le rispose.

Volusia scrutò l’orizzonte e in quel momento il suo stregone, Koolian, con indosso la sua tunica nera con il cappuccio, gli occhi luccicanti e verdi e il volto segnato dalle rughe – la creatura che l’aveva aiutata a perpetrare l’assassinio di sua madre e uno dei pochi membri della sua cerchia di cui ancora si fidava – si fece avanti avvicinandosi e osservando la scena insieme a lei.

“Sai che sono là fuori,” le ricordò. “Che stanno venendo da te. Li sento anche adesso.”

Lei lo ignorГІ guardando dritto davanti a sГ©.

“Come anche io,” disse alla fine.”

“I Cavalieri del Sette sono molto potenti, mia dea,” le disse Koolian. “Viaggiano con un esercito di stregoni, un esercito che neanche tu puoi sconfiggere.”

“E non dimenticare gli uomini di Romolo,” aggiunse Rory. “I rapporti dicono che sono vicini alle nostre coste già adesso nel loro viaggio di ritorno dall’Anello.”

Volusia continuò a guardare avanti e un lungo silenzio rimase sospeso nell’aria, spezzato da nient’altro che l’ululare del vento.

Infine Rory disse: “Sai che non possiamo tenere questo posto. Restare qui significherebbe la morte per tutti noi. Cosa ordini di fare, mia dea? Fuggiamo dalla capitale? Ci arrendiamo?”

Alla fine Volusia si voltГІ verso di lui e sorrise.

“Festeggeremo,” disse.

“Festeggeremo?” chiese lui scioccato.

“Sì, festeggeremo,” disse. “Fino alla fine. Rinforzate i cancelli della nostra città e aprite la grande arena. Dichiaro cento giorni di feste e giochi. Può anche darsi che moriremo,” concluse con un sorriso, “ma lo faremo sorridendo.”




CAPITOLO SEI


Godfrey correva attraverso le strade di Volusia per raggiungere velocemente i cancelli della città prima che fosse troppo tardi. Era abbastanza felice del suo successo nel sabotare l’arena riuscendo ad avvelenare l’elefante e trovare Dray liberandolo nell’arena proprio quando Dario ne aveva più bisogno. Grazie al suo aiuto e con l’aiuto della donna finiana, Silis, Dario aveva vinto. Aveva salvato la vita del suo amico, il che lo sollevava un poco dalla colpa dell’imboscata a Volusia. Ovviamente il ruolo di Godfrey era nell’ombra, dove gli riusciva meglio, e Dario non avrebbe comunque mai potuto vincere senza il proprio coraggio e la bravura nel combattere. Eppure Godfrey aveva giocato un ruolo abbastanza decisivo, seppur piccolo.

Ma ora tutto stava andando storto: si era aspettato, dopo il combattimento, di poter incontrare Dario ai cancelli dell’arena mentre lo portavano fuori, per poterlo così liberare. Non aveva previsto che l’avrebbero portato fuori dalla porta sul retro accompagnandolo attraverso la città. Dopo la sua vittoria tutta la folla dell’Impero aveva cantato il suo nome e i supervisori dell’Impero si erano sentiti minacciati dalla sua inaspettata popolarità. Avevano creato un eroe e avevano deciso di portarlo fuori dalla città verso l’arena della capitale il prima possibile, prima di ritrovarsi una rivoluzione tra le mani.

Ora Godfrey correva insieme agli altri, disperato per raggiungerlo, per raggiungere Dario prima che lasciasse la cittГ  e fosse quindi troppo tardi. La strada verso la capitale era lunga, desolata, attraversava la Desolazione ed era ben sorvegliata. Una volta lasciata la cittГ  non ci sarebbe stato modo di aiutarlo. Doveva salvarlo altrimenti i suoi sforzi non sarebbero valsi a nulla.

Godfrey sfrecciava tra le strade, respirando affannosamente, con Merek ed Ario che aiutavano Akorth e Fulton che annaspavano sotto il peso delle loro grosse pance.

“Non fermarti!” Merek incoraggiava Fulton tirandolo per un braccio. Ario dava delle gomitate ad Akorth facendolo gemere e spingendolo ogni volta che rallentava.

Godfrey sentiva il sudore che gli colava lungo il collo e si maledisse ancora una volta per aver sempre bevuto troppa birra. Ma pensò a Dario e si sforzò di continuare a far muovere le gambe doloranti, svoltando in una strada dopo l’altra fino a che emersero da un lungo arco di pietra e si trovarono nella piazza cittadina. A quel punto videro in lontananza, a forse cento metri di distanza, i cancelli della città, imponenti e alti almeno quindici metri. Mentre Godfrey guardava il cuore gli balzò in gola vedendo che le sbarre venivano spalancate.

“NO!” gridò involontariamente.

Godfrey ebbe un moto di panico vedendo il carro di Dario, trainato da cavalli e sorvegliato da soldati dell’Impero, fatto di sbarre di ferro come una sorta di gabbia su ruote, che si dirigeva verso i cancelli aperti.

Godfrey corse piГ№ velocemente, piГ№ veloce di quanto pensasse di essere capace, arrancando.

“Non ce la faremo,” disse Merek, la voce della ragione, mettendogli una mano sul braccio.

Ma Godfrey lo scosse via e corse. Sapeva che era una causa senza speranza: il carro era troppo lontano, troppo sorvegliato, troppo fortificato, ma lui continuГІ comunque a correre fino a non poterne piГ№.

Rimase fermo nel mezzo del cortile con la salda mano di Merek che lo tratteneva, e si chinГІ con conati di vomito mettendo le mani sulle ginocchia.

“Non possiamo lasciarlo andare!” gridò.

Ario scosse la testa avvicinandoglisi.

“È già andato,” gli disse. “Salvati. Combatteremo un altro giorno.”

“Lo salveremo in qualche altro modo,” aggiunse Merek.

“Come?!” implorò Godfrey disperato.

Nessuno di loro aveva una risposta mentre stavano tutti in piedi e guardavano i cancelli di ferro che sbattevano alle spalle di Dario, come porte che si serravano sulla sua anima.

Poté vedere la carrozza che al di là delle sbarre, già distante nel deserto, sempre più lontana da Volusia. La nuvola di polvere si sollevò sempre più alta presto oscurando la visuale e Godfrey si sentì spezzare il cuore sentendo di aver abbandonato l’ultima persona che conosceva e la sua unica speranza di redenzione.

Il silenzio venne scosso dai guaiti frenetici di un cane selvatico e Godfrey abbassГІ lo sguardo vedendo Dray che sopraggiungeva dalle vie cittadine abbaiando e ringhiando come impazzito, attraversando il cortile diretto verso il suo padrone. Anche lui era disperato per il desiderio di salvare Dario e quando raggiunse i grandi cancelli di ferro saltГІ gettandovisi contro e mordendoli inutilmente con i denti.

Godfrey guardò con orrore mentre i soldati dell’Impero che stavano di guardia posavano i loro sguardi sul cane e lo indicavano. Uno di essi sguainò la spada e si avvicinò a Dray con la chiara intenzione di ucciderlo.

Godfrey non capì cosa gli stesse accadendo, ma qualcosa si mosse in lui. Era troppo, troppa ingiustizia da sopportare. Se non poteva salvare Dario, almeno doveva salvare il suo adorato cane.

Godfrey sentì se stesso gridare, sentì che si metteva a correre come fuori di sé. Con una sensazione surreale sentì che sguainava la sua spada corta e correva in avanti verso la guardia ignara. Mentre questa si voltava la pugnalò al cuore.

Il grande e grosso soldato dell’Impero guardò Godfrey incredulo, gli occhi sgranati, immobile. Poi cadde a terra morto.

Godfrey udì un grido e vide le altre due guardie dell’Impero piombargli addosso. Sollevarono minacciosamente le loro armi e lui capì che non aveva possibilità di affrontarle. Sarebbe morto lì, davanti a quei cancelli, ma almeno sarebbe morto in un gesto di nobiltà.

Un ringhio squarciò l’aria e Godfrey vide con la coda dell’occhio che Dray si voltava e balzava in avanti saltando addosso alla guardia che incombeva su Godfrey. Gli affondò le zanne nella gola e lo bloccò a terra strattonandolo fino a che l’uomo smise di muoversi.

Nello stesso istante Merek ed Ario accorsero e usarono le loro spade corte per pugnalare l’altra guardia che si trovava dietro a Godfrey, uccidendola prima che potesse fargli del male.

Rimasero tutti lì in silenzio. Godfrey guardò quella carneficina, scioccato per ciò che aveva appena fatto, scioccato di possedere quel genere di coraggio. Dray gli corse vicino e gli leccò il dorso della mano.

“Non pensavo potessi fare tanto,” disse Merek con ammirazione.

Godfrey rimase impassibile, sconvolto.

“Non sono neanche sicuro di cosa ho effettivamente fatto,” disse sopraffatto dalla confusione degli eventi. Non aveva inteso agire, l’aveva fatto e basta. Questo lo rendeva comunque coraggioso?

Akorth e Fulton guardarono da ogni parte, terrorizzati, cercando segni di soldati dell’Impero.

“Dobbiamo andarcene da qui!” gridò Akorth. “Ora!”

Godfrey sentì delle mani su di lui e si sentì trascinare via. Si voltò e corse insieme agli altri, Dray al loro fianco. Si allontanarono tutti dai cancelli correndo di nuovo verso Volusia, verso Dio solo sapeva cosa ci fosse in serbo per loro.




CAPITOLO SETTE


Dario sedeva appoggiato alle sbarre di ferro, i polsi legati alle caviglie con una lunga catena tra essi e il corpo ricoperto di ferite ed abrasioni. Si sentiva pesare tonnellate. Mentre procedevano con la carrozza che rimbalzava sulla strada impervia, guardava verso l’esterno vedendo il cielo del deserto tra le sbarre e sentendosi perduto. La sua carrozza passò attraverso un paesaggio infinito e brullo, nient’altro che desolazione a perdita d’occhio. Era come se il mondo fosse finito.

La sua carrozza era ombreggiata ma dei fasci di luce passavano tra le sbarre e lui sentiva l’opprimente calore del deserto avvolgerlo a ondate, facendolo sudare anche all’ombra e peggiorando così la sua situazione di sconforto.

Ma a Dario non importava. Tutto il corpo gli bruciava e gli doleva dalla testa ai piedi, ricoperto di ematomi, gli arti che facevano fatica a muoversi, consumati dagli infiniti giorni di combattimenti nell’arena. Incapace di dormire, chiuse gli occhi e cercò di scacciare i ricordi, ma ogni volta che ci provava vedeva i suoi amici morirgli accanto – Desmond, Raj, Luzi e Kraz – tutti in modo terribile. Tutti loro morti perché lui potesse sopravvivere.

Era il vincitore, aveva ottenuto l’impossibile, eppure questo significava pochissimo adesso per lui. Sapeva che la morte stava per arrivare: la sua ricompensa, dopotutto, era di venire spedito nella capitale dell’Impero per diventare uno spettacolo in un’arena più grande, contro avversari ben peggiori. La ricompensa per tutto ciò, per i suoi atti di valore, sarebbe stata la morte.

Dario avrebbe preferito morire lì piuttosto di dover rivivere tutto di nuovo. Ma non poteva controllare neppure questo: era incatenato lì, inerme. Quanto ancora sarebbe durata quella sua tortura? Avrebbe dovuto assistere alla morte di ogni cosa che amava al mondo prima di morire lui stesso?

Dario chiuse ancora gli occhi, cercando disperatamente di eliminare i ricordi. Così facendo, gli venne alla mente un ricordo della sua prima infanzia. Stava giocando davanti alla capanna del nonno con un bastone. Stava colpendo ripetutamente un albero fino a che suo nonno gli strappò di mano il bastone.

“Non giocare con i bastoni,” lo rimproverò. “Vuoi attirare l’attenzione dell’Impero? Vuoi che pensino che siamo dei guerrieri?”

Il nonno ruppe il bastone sul proprio ginocchio e Dario si incollerì. Quello era più che un bastone: quello era il suo bastone dei poteri, l’unica arma che aveva. Quel bastone significava ogni cosa per lui.

Sì, voglio che pensino che sono un guerriero. Non voglio che mi si conosca per nient’altro che questo, aveva pensato.

Ma mentre suo nonno si girava e si allontanava velocemente non aveva avuto il coraggio di dirlo ad alta voce.

Dario aveva raccolto il bastone rotto e aveva tenuto i pezzi in mano con le lacrime che gli scendevano sulle guance. Un giorno, aveva giurato, si sarebbe vendicato su tutti loro: la sua vita, il suo villaggio, la loro situazione, l’Impero, qualsiasi cosa e ogni cosa che non era in grado di controllare.

Li avrebbe distrutti tutti. E lo avrebbero conosciuto per essere nient’altro che un guerriero.



*



Dario non sapeva quanto tempo fosse passato quando si svegliò, ma notò immediatamente che il brillante sole della mattina si era trasformato in un pomeridiano sole arancione che volgeva al tramonto. Anche l’aria era molto più fresca e le sue ferite si erano irrigidite rendendogli più difficile muoversi o addirittura spostarsi in quello scomodo carro. I cavalli lo facevano sobbalzare ininterrottamente sul suolo roccioso del deserto e la sensazione del ferro che gli sbatteva contro la testa lo faceva sentire come se gli stessero frantumando il cranio. Si strofinò gli occhi togliendosi lo sporco dalle ciglia e si chiese quanto ancora distasse la capitale. Gli sembrava di aver ormai viaggiato fino all’altra parte del mondo.

SbattГ© le palpebre diverse volte e guardГІ fuori, aspettandosi come sempre di vedere un orizzonte vuoto, un deserto di desolazione. Ma questa volta fu sorpreso di vedere qualcosa di diverso. Si mise a sedere piГ№ eretto per la prima volta.

Il carro iniziò a rallentare, il rombo dei cavalli si acquietò un poco e le strade si fecero più lisce. Mentre scrutava il nuovo paesaggio Dario vide un panorama che mai avrebbe dimenticato: lì, ergendosi dal deserto come una sorta di civiltà perduta, si trovavano delle massicce mura cittadine, cancelli di oro luccicante, mura e parapetti gremiti di soldati. Dario capì all’istante che erano arrivati: era la capitale.

Il rumore della strada mutò, diventando un suono di legno vuoto e Dario abbassò lo sguardo vedendo che la carrozza veniva condotta al di sopra di un ponte levatoio. Passarono oltre centinaia di soldati allineati lungo il ponte, tutti sull’attenti al loro passaggio.

Un forte cigolio riempì l’aria e Dario guardò davanti a sé vedendo le porte dorate, incredibilmente alte, che si spalancavano come ad accoglierlo. Vide un luccichio al di là: era la città più magnifica che mai avesse visto e capì, senza ombra di dubbio, che quello era un posto dal quale non sarebbe potuto scappare. Come a confermare i suoi pensieri udì un lontano rombo, un rumore che riconobbe all’istante: era il fragore dell’arena, una nuova arena, un posto di uomini che chiedevano sangue, il posto che sarebbe di sicuro stato l’ultimo che avrebbe visitato. Non ne aveva paura: pregava solo Dio di morire sui proprio piedi, con la spada in mano, in un ultimo grandioso atto di valore.




CAPITOLO OTTO


Thorgrin tirò un’ultima volta la corda dorata con mani tremanti, Angel al suo fianco e il sudore che gli colava sul viso. Alla fine arrivò in cima alla parete rocciosa e mise piede a terra, prendendo fiato. Si voltò e si guardò alle spalle vedendo, decine di metri più sotto, alla base della ripida scogliera, le onde dell’oceano che si infrangevano e la loro barca sulla spiaggia che sembrava così piccola: era sorpreso di vedere quanto in alto si era arrampicato. Udiva lamenti tutt’attorno a lui e voltandosi vide Reece e Selese, Elden ed Indra, O’Connor e Mati che arrivavano tirandosi sull’altopiano dell’Isola della Luce.

Thor rimase in ginocchio, con i muscoli esausti, e guardò l’Isola della Luce davanti a sé. Il cuore gli sprofondò nel petto e provò un rinnovato senso di presagio. Prima ancora di vedere la scena orribile poté sentire l’odore delle ceneri ardenti, l’odore pesante del fumo che impregnava l’aria. Poté anche sentire il calore, i fuochi che ardevano, i danni creati da chissà quale creatura avesse devastato quel posto. L’isola era nera, bruciata, distrutta, tutto ciò che prima era stato così idilliaco, tutto ciò che era sembrato così invincibile, ora era stato tramutato in cenere.

Thorgrin si rimise in piedi e non attese tempo. Iniziò ad avventurarsi nell’isola con il cuore che gli batteva forte in petto mentre cercava ovunque Guwayne. Considerando la condizione del posto odiava pensare a cosa avrebbe potuto trovare.

“GUWAYNE!” gridò correndo tra le colline riarse e portandosi le mani alla bocca.

La voce gli tornò indietro come un’eco contro le colline, come a prenderlo in giro. Poi nient’altro che silenzio.

Giunse un ruggito solitario da qualche parte in alto e Thor sollevò lo sguardo vedendo Licople che volava in cerchio. Licople ruggì di nuovo, scese in basso e volò verso il centro dell’isola. Thor sentì improvvisamente che lo stava conducendo da suo figlio.

Si mise a correre seguito dagli altri, attraversando quella desolazione bruciacchiata e cercando ovunque.

“GUWAYNE!” gridò ancora. “RAGON!”

Mentre Thor guardava la devastazione del paesaggio annerito, provava una crescente certezza che niente potesse essere sopravvissuto in quel posto. Quelle ondeggianti colline, una volta così abbondanti di erba ed alberi erano ora ridotte a un paesaggio segnato dalla battaglia. Thor si chiedeva quale genere di creature, oltre ai draghi, potessero causare un tale disastro, e cosa più importante chi le controllasse, chi le avesse mandate lì e perché. Perché suo figlio era tanto importante che qualcuno mandasse un esercito contro di lui?

Thor guardò l’orizzonte, sperando di vedere un qualche segno, ma il suo cuore gli sprofondò in petto quando non scorse nulla. Vide invece solo fiamme e braci che riempivano le colline.

Voleva credere che Guwayne fosse in qualche modo sopravvissuto a tutto questo. Ma non vedeva come potesse averlo fatto. Se uno stregone potente come Ragon non poteva fermare le forze che erano state lì, come poteva lui salvare suo figlio?

Per la prima volta da quando si era imbarcato in quella missione, Thor iniziava a perdere la speranza.

Continuarono a correre risalendo e scendendo le colline e quando furono in cima a una particolarmente grande, improvvisamente O’Connor, che era davanti al gruppo, indicò freneticamente qualcosa.

“Lì!” gridò.

O’Connor indicava di lato, verso i resti di un antico albero che era ora abbrustolito, con i rami rinsecchiti. Guardando con maggiore attenzione Thor scorse, sdraiato accanto ad esso, un corpo immobile.

Percepì all’istante che si trattava di Ragon. E non vide vicino alcun segno di Guwayne.

Thor, pieno di timore, corse in avanti e quando lo raggiunse collassò in ginocchio al suo fianco guardando ovunque alla ricerca di Guwayne. Sperava di trovarlo magari nascosto tra gli abiti di Ragon o da qualche parte accanto a lui o lì vicino, forse nella spaccatura di una roccia.

Ma il cuore gli crollГІ dentro vedendo che non era da nessuna parte.

Thor allungГІ le mani e lentamente fece ruotare Ragon, gli abiti anneriti dal fuoco, pregando che non fosse rimasto ucciso. Lo girГІ sottosopra e provГІ un barlume di speranza vedendo che muoveva gli occhi. Gli afferrГІ le spalle, ancora calde al tatto, egli tirГІ indietro il cappuccio inorridito vedendogli il volto ustionato e sfigurato dalle fiamme.

Ragon iniziò ad ansimare e tossire e Thor vide che stava lottando per rimanere in vita. Si sentiva devastato vedendolo così, quell’uomo meraviglioso che era stato così gentile con tutti loro, ora ridotto in quello stato per difendere quell’isola, per difendere Guwayne. Thor non poteva fare a meno di sentirsi responsabile.

“Ragon,” disse con voce strozzata in gola. “Perdonami.”

“Sono io che ti chiedo perdono,” disse Ragon con voce roca, a malapena capace di pronunciare le parole. Tossì a lungo, poi continuò: “Guwayne…” inizio, ma subito si interruppe.

Il cuore di Thor gli sbatteva con violenza nel petto, non voleva sentire le sue parole e temeva il peggio. Come avrebbe mai potuto rivedere Guwayne?

“Raccontami,” gli chiese Thor stringendogli le spalle. “Il bambino è vivo?”

Ragon ansimò a lungo, cercando di prendere fiato e Thor fece cenno a O’Connor che gli porse subito un fiasco d’acqua. Thor versò l’acqua sulle labbra di Ragon che bevve tossendo mentre deglutiva.

Alla fine Ragon scosse la testa.

“Peggio,” disse con voce poco più forte di un sussurro. “La morte sarebbe stata una grazia per lui.”

Ragon fece silenzio e Thor lo scosse con veemenza, desideroso di sentirlo parlare.

“Lo hanno portato via,” continuò infine Ragon. “Me lo hanno strappato dalle braccia. Tutti qui, solo per lui.”

Il cuore di Thor sprofondГІ al pensiero del suo prezioso bambino portato via da quelle malvagie creature.

“Ma chi?” chiese. “Chi c’è dietro a tutto questo? Chi è più potente di te da poter fare questo? Pensavo che il tuo potere, come quello di Argon, fosse impenetrabile per ogni creatura di questo mondo.”

Ragon annuì.

“Per tutte le creature di questo mondo, sì,” disse. “Ma queste non erano creature di questo mondo. Erano creature dell’inferno, venivano da un posto ancora più oscuro: la Terra del Sangue.”

“La Terra del Sangue?” chiese Thor stupito. “Sono andato all’inferno e sono tornato indietro,” aggiunse. “Quale posto più essere più oscuro?”

Ragon scosse la testa.

“La Terra del Sangue è più di un luogo. È uno stato esistenziale. Un male più oscuro e più potente di quanto tu possa immaginare. È il regno del Signore del Sangue ed è diventato più oscuro e più potente di generazione in generazione. È in corso una guerra tra regni. Un antico conflitto tra male e luce. Entrambi vogliono il controllo. E temo che Guwayne sia la chiave: chiunque lo abbia con sé può vincere, può avere il dominio sul mondo. Per sempre. È ciò che Argon non ti ha mai detto. Ciò che non poteva ancora dirti. Non eri pronto. Era ciò per cui ti stavo allenando: la guerra più grande che mai potessi immaginare.”

Thor rimase a bocca aperta cercando di capire.

“Non capisco,” disse. “Non hanno preso Guwayne per ucciderlo?”

Ragon scosse la testa.

“Ben peggio. Lo hanno preso per tenerselo, per crescerlo come un bimbo demone, ciò di cui hanno bisogno per far avverare la profezia e distruggere tutto il bene nell’universo.”

A Thor girava la testa e batteva forte il cuore mentre cercava di comprendere tutto.

“Allora devo riportarlo indietro,” disse con la fredda sensazione di risoluzione che gli scorreva nelle vene, soprattutto sentendo Licople che volava sopra la sua testa ruggendo e bramando come lui vendetta.

Ragon allungò una mano e strinse il polso di Thor con una forza sorprendente per un uomo sul punto di morire. Guardò Thor negli occhi con un’intensità che lo spaventò.

“Non puoi,” gli disse con fermezza. “La Terra del Sangue è troppo potente per ogni essere umano. Il prezzo da pagare per accedervi è troppo alto. Anche con tutti i tuoi poteri, ascolta la mia parola: moriresti di certo se ci andassi. Tutti voi morireste. Non sei ancora abbastanza forte. Non recupereresti tuo figlio e tutto verrebbe distrutto.”

Ma il cuore di Thor si stava facendo duro nella decisione.

“Ho affrontato il buio più grande, il potere più forte al mondo,” disse. “Incluso quello del mio stesso padre. Non mi sono mai tirato indietro per paura. Affronterò questo signore oscuro, qualsiasi siano i suoi poteri. Entrerò nella Terra del Sangue a ogni costo. Si tratta di mio figlio. Lo salverò, oppure morirò facendolo.”

Ragon scosse la testa tossendo.

“Non sei pronto,” gli disse con voce calante. “Non sei pronto… hai bisogno… del potere… Hai bisogno… del…dell’anello,” gli disse. Poi si mise a tossire spuntando sangue.

Thor lo fissГІ con il disperato desiderio di sapere cosa intendesse dire prima che morisse.

“Quale anello?” gli chiese. “La nostra terra?”

Seguì un lungo silenzio, il rantolo di Ragon l’unico rumore nell’aria, fino a che aprì gli occhi appena un poco.

“Il… sacro anello.”

Thor afferrò Ragon per le spalle, voleva che gli rispondesse. Ma improvvisamente sentì che il suo corpo si irrigidiva tra le sue mani. Gli occhi rimasero immobili, si udì un orribile sussulto di morte e un attimo dopo smise di respirare e rimase fermo del tutto.

Morto.

Thor provò un’ondata di agonia pervaderlo.

“NO!” gridò gettando la testa indietro e guardando il cielo. Fu scosso dai singhiozzi mentre abbracciava Ragon, quell’uomo generoso che aveva dato la sua vita per sorvegliare suo figlio. Si sentiva sopraffatto dal dolore e dal senso di colpa. Lentamente e con fermezza sentì crescere in sé la risoluzione.

Guardò il cielo e capì cosa doveva fare.

“LICOPLE!” gridò, lo strillo angoscioso di un padre disperato, infuriato, con niente rimasto da perdere.

Licople udì il suo grido, quindi ruggì dall’alto dei cieli con una furia pari a quella di Thor e scese volando in cerchio, sempre più in basso, fino ad atterrare a pochi passi da lui.

Senza esitare Thor corse da lei, le balzГІ sulla schiena e si tenne stretto al collo. Si sentiva energizzato ritrovandosi finalmente di nuovo in groppa a un drago.

“Aspetta!” gridò O’Connor correndo verso di lui insieme agli altri. “Dove stai andando?”

Thor li guardГІ con la morte negli occhi.

“Alla Terra del Sangue,” rispose sentendosi più certo che mai. “Salverò mio figlio. A qualunque costo.”

“Ti distruggeranno,” disse Reece facendosi avanti preoccupato e parlando con voce greve.

“Allora morirò con onore,” rispose Thor.

Guardò poi in alto, verso l’orizzonte, e vide la scia lasciata dai gargoyle che scompariva nel cielo. Capì dove doveva andare.

“Allora non andrai da solo,” gridò Reece. “Ti seguiremo con la nave e ci troveremo laggiù.”

Thorgrin annuì e strinse Licople. Improvvisamente provò la familiare sensazione di loro due sollevati in aria.

“No, Thorgrin!” gridò una voce angosciata dietro di lui.

Sapeva che si trattava della voce di Angel e provГІ una fitta di senso di colpa volando via da lei.

Ma non poteva guardarsi alle spalle. Suo figlio si trovava davanti a lui e lui l’avrebbe trovato. E li avrebbe uccisi tutti.




CAPITOLO NOVE


Gwendolyn attraversò l’alta porta ad arco che conduceva alla sala del trono del re, tenuta aperta da diversi servitori. Krohn era al suo fianco e lei era impressionata dalla vista davanti a sé. Lì, dalla parte opposta della stanza vuota, il re sedeva sul suo trono, solo in quel posto immenso. Le porte riecheggiarono chiudendosi alle sue spalle. Si avvicinò percorrendo il pavimento di pietra e oltrepassando scie di luce che filtravano dalle file di vetrate colorate che illuminavano la sala con scene di antichi cavalieri in battaglia. Quel posto era tanto intimidente quanto sereno, ispirante ma allo stesso tempo infestato dai fantasmi di re del passato. Gwen ne percepiva la presenza nell’aria e questo le ricordò in molti modi la Corte del Re. Provò un’improvvisa fitta di tristezza al petto provando in quella stanza la mancanza di suo padre.

Il re sedeva lì, pensieroso, il mento appoggiato ai pugni, chiaramente immerso nei suoi pensieri e, come Gwendolyn percepì, anche pressato dal peso del governo. Le apparve solo, intrappolato in quel posto, come se il peso del regno gli gravasse sulle spalle. Capiva benissimo quella sensazione.

“Ah, Gwendolyn,” le disse illuminandosi vedendola.

Si aspettò che rimanesse seduto sul suo trono, ma si alzò immediatamente in piedi e scese di corsa i gradini d’avorio con un caloroso sorriso in volto, umile, senza la pretesa di altri re, felice di accorrere a salutarla. La sua umiltà era un sollievo ben accetto per Gwendolyn, soprattutto dopo quell’incontro con suo figlio che ancora la faceva tremare per quanto le era apparso di cattivo auspicio. Si chiese se raccontarlo al re: per ora almeno pensò fosse meglio trattenere la lingua e vedere cosa accadeva. Non voleva apparire ingrata o dare inizio al loro incontro con una nota sbagliata.

“Ho pensato a poco altro dopo la nostra discussione di ieri,” le disse mentre le si avvicinava e la abbracciava calorosamente. Krohn, al suo fianco, piagnucolò e spinse la mano del re con il muso. Il re abbassò lo sguardo e lo guardò sorridendo. “E questo chi è?” chiese calorosamente.

“Krohn,” rispose lei, sollevata che gli piacesse. “Il mio leopardo, o per essere più precisi il leopardo di mio marito. Anche se penso che sia altrettanto mio adesso.”

Con suo sollievo il re si inginocchiГІ, prese la testa di Krohn tra le mani, gli accarezzГІ le orecchie e lo baciГІ senza paura. Krohn rispose leccandogli la faccia.

“Una bella bestia,” disse. “Un piacevole cambiamento per il nostro comune gruppo di cani che abbiamo qui.”

Gwen lo guardГІ sorpresa dalla gentilezza e ricordГІ le parole di Mardig.

“Gli animali come Krohn sono ammessi qui?” gli chiese.

Il re spinse la testa indietro e rise.

“Certo,” rispose. “Perché no. Qualcuno di ha detto diversamente?”

Gwen era dibattuta se raccontargli o meno del suo incontro, ma decise di tacere ancora: non voleva essere vista come una spiona e aveva bisogno di saperne di piГ№ di quella gente e di quella famiglia prima di trarre ogni conclusione o gettarsi furiosamente in un dramma di famiglia. Era meglio a suo parere rimanere in silenzio per ora.

“Volevi vedermi, mio re?” gli chiese invece.

Immediatamente il suo volto si fece serio.

“Sì,” le disse. “La nostra chiacchierata è stata interrotta ieri e mi resta ancora molto di cui discutere con te.”

Si voltò e fece cenno con la mano invitandola a seguirlo. Camminarono insieme, i loro passi riecheggianti, attraversando in silenzio la grande stanza. Gwen alzò lo sguardo e osservò gli alti soffitti ad arco, le armi appese alle pareti, i trofei e le armature… Ammirò l’ordine di quel posto, l’orgoglio di quei cavalieri in battaglia. Tutto questo le ricordava il posto che avrebbe potuto ritrovare nell’Anello.

Attraversarono la stanza e quando raggiunsero la parte opposta e passarono oltre un’altra serie di doppie porte – l’antico legno di quercia spesso decine di centimetri e lisciato dall’uso – si ritrovarono su un enorme balcone adiacente alla stanza del trono. Era largo almeno quindici metri e della stessa profondità, con una balaustra di marmo a fargli da cornice.

Gwen seguì fuori il re, fino al bordo, e appoggiò le mani sul marmo liscio guardando verso l’esterno. Sotto di lei si stendeva la città immacolata e grandiosa del Crinale, tutti i suoi spigolosi tetti di ardesia a segnare l’orizzonte, tutte le sue antiche case di diverse forme, costruite una vicina all’altra. Era chiaramente una città fatta a patchwork che si era evoluta in centinaia di anni, confortevole, intima, consumata dall’uso. Con i suoi picchi e le sue guglie sembrava una città delle favole, soprattutto stagliata contro lo sfondo delle acque blu che giacevano dietro di essa. Oltre ancora si vedevano le torreggianti vette del Crinale che si sollevavano disegnando un grosso cerchio, come una barriera contro il resto del mondo.

Così nascosta, così riparata dal resto del mondo, Gwen non poteva immaginare come qualcosa di brutto potesse mai capitare a quel luogo.

Il re sospirГІ.

“Difficile immaginare che questo posto stia morendo,” disse, e lei si rese conto che stava pensando come lei.

“Difficile immaginare,” aggiunse, “che io sto morendo.”

Gwen si voltò verso di lui e vide i suoi occhi azzurri e sofferenti, pieni di tristezza. Provò un’ondata di preoccupazione.

“Di quale malattia, mio signore?” gli chiese. “Sicuramente, di qualsiasi cosa si tratti, è qualcosa che i guaritori possono trattare.”

Scosse lentamente la testa.

“Sono stato da ogni guaritore,” le rispose. “I migliori del regno, ovviamente. Non hanno nessuna cura. È un tumore che si sta diffondendo dentro di me.”

Sospirò e guardò verso l’orizzonte e Gwen si sentì oppressa dalla tristezza per lui. Perché accadeva sempre, si chiese, che le persone buone venivano colpite dalla tragedia mentre i malvagi in qualche modo riuscivano a rigogliare?

“Non provo pietà per me stesso,” aggiunse il re. “Accetto il mio destino. Ciò che ora mi preoccupa non è me stesso, ma la mia famiglia. I miei figli. Il mio regno. Questo è tutto ciò che conta adesso. Non posso progettare il mio futuro, ma almeno posso programmare il loro.”

Si voltГІ verso di lei.

“Ed è per questo che ti ho chiamata.”

Gwen si sentiva spezzare il cuore per lui e sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarlo.

“Per quanto io voglia,” gli rispose, “non vedo come possa aiutarti. Hai un intero regno a tua disposizione. Cosa posso offrire io che non possano fare già gli altri?”

Lui sospirГІ.

“Abbiamo in comune gli stessi obiettivi,” le disse. “Tu desideri vedere l’Impero sconfitto e anche io. Tu desideri un futuro per la tua famiglia, per il tuo popolo, un luogo di salvezza e sicurezza, lontano dalle grinfie dell’Impero. Lo desidero anche io. Ovviamente abbiamo questa pace qui e adesso, dietro al riparo del Crinale. Ma non è una vera pace. La gente libera può andare ovunque, noi no. Non saremo mai liberi fino a quando ci nasconderemo. C’è una differenza sostanziale.”

SospirГІ di nuovo.

“Ovviamente viviamo in un mondo imperfetto e questo potrebbe essere il meglio che abbiamo da offrire. Ma io penso di no.”

Fece silenzio a lungo e Gwen si chiese dove volesse andare a parare.

“Viviamo le nostre vite nella paura come mio padre fece prima di me,” continuò alla fine. “Paura di essere scoperti, che l’Impero ci trovi qui nel Crinale, che arrivino e portino la guerra alle nostre porte. E i guerrieri non dovrebbero mai vivere nella paura. C’è una linea sottile tra sorvegliare un castello ed avere paura di uscire tranquillamente allo scoperto. Un grande guerriero può fortificare i cancelli e difendere il suo castello, ma un guerriero ancora più grande può spalancarli e affrontare senza paura chiunque bussi.”

Si voltò verso di lei e vide la determinazione regale nei suoi occhi, poté sentire la forza che emanava e in quel momento capì perché era re.

“Meglio morire affrontando il nemico, coraggiosamente, che aspettare al sicuro che arrivi alle nostre porte.”




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